Non un romanzo, ma un epistolario
Quindi ci siamo. Dopo averlo più volte citato, è arrivato per me il momento di parlare di “Si dubita sempre delle cose più belle”. La mia reticenza ha a che vedere con la bellezza dell’esperienza che il volume ha richiesto. E’ stato un lungo viaggio, parliamo di ben 2000 pagine, iniziato diversi mesi fa. Ed anche, da dire, non è un romanzo, bensì un epistolario, tra Federico De Roberto (l’autore de I Vicerè) ed Ernesta Renata Valle.
Sentimenti in movimento
Non mi ero mai curato di De Roberto, I Vicerè li avrò studiati a scuola, ma quando a fine 2015 lessi non so dove di questo epistolario (rimasto nascosto per più di un secolo), qualcosa dentro si era mosso: le lettere mi avrebbero parlato, oltre che dello scrittore (ma dal suo e dal di lei punto di vista), dell’uomo e della relazione con la donna amata. Le cose scritte divengono così non solo parole ferme sulla carta, ma sentimenti in movimento.
Ernesta Renata Valle era una donna di Milano, con la quale De Roberto ebbe una relazione sentimentale tra il 1897 e 1903, della quale ci rimane appunto un fitto scambio epistolare. De Roberto viveva a Catania e a Milano si recava per frequentare la società letteraria dell’epoca e intessere relazioni che potessero fornigli incarichi lavorativi (ad esempio con il Corriere della Sera). E’ lì che conosce Ernesta Valle, sposa dell’avvocato Guido Ribera, della quale si innamora pazzamente. In questo clima di fine secolo tra i due amanti si dispiega una storia d’amore che vive di rinnovati incontri (anche carnali) durante le permanenze periodiche di De Roberto a Milano e di lettere che si susseguono con frequenza quando la distanza li separa, distanza che anno dopo anno avrà la meglio sulla fiducia che i due nutrono nel loro rapporto, man mano che i nostri acquisiscono la consapevolezza dell’impossibilità di poter vivere la loro storia alla luce del sole.
Renata è il nome che De Roberto usa per rivolgersi all’amata, in quanto con la loro conoscenza, lei “rinasce all’amore”.
Ho trovato la raccolta umanamente incredibile. Vivi, leggendo, i loro alti e bassi, e sei testimone di quanto speciale sia quell’amore, quando li intercetta così ricettivi nell’estate del 1897. Ognuno di loro ha però le proprie zavorre, difficili da smontare: la madre per De Roberto, possessiva e protettiva ed unica genitrice (nonché amministratrice dell’eredità) essendo il padre morto quando lui era piccolo, e il marito per Renata Valle, la quale ha anche un figlio di 5 anni quando inizia la storia.
Il testo, curato da Sarah Muscara e Enzo Zappulla, riporta con le lettere un’insieme ricchissimo di note, che aiutano ad orientarsi nel momento culturale italiano, nel quale la direttrice Milano-Catania è fortemente collegata. Si viene così a vivere contemporaneamente il momento individuale tra i due e il momento storico collettivo, come a trovarsi dentro un film proiettato nella propria testa. E si scoprono così luoghi delle città che prima erano altro (Palazzo Tezzano) o che oggi non esistono più (es. Arena Pacini). E che dire se tra le note si scova che la SIAE ebbe origine a Milano pochi anni prima, dove tra gli scrittori a sostegno c’erano De Amicis, Carducci, Verga?
Una di queste
Tante cose mi hanno colpito, una di queste è l’incredibile velocità con le quali le lettere viaggiavano tra le 2 città, come si evince dai bolli di partenza e di arrivo, parliamo in generale di 2 giorni, con consegna tutti i giorni della settimana, dove le lettere viaggiavano in treno. Oggi questi livelli di servizio sono impensabili, sopratutto perché le lettere di carta sono ritenute uno strumento “inefficiente”, ci sono le email, gli sms, le chiamate telefoniche a voce, le videochiamate, addirittura il fax, che consentono di trasmettere una informazione o comunicare un sentimento impellente in pochi secondi.
Quando De Roberto e la Valle si conoscono, non esistevano gli strumenti di oggi, ed il telefono non aveva ancora quella diffusione che avrebbe avuto nel giro di pochi decenni. Avevano solo le lettere di carta e dovevano pure trovare dei sotterfugi per non farvi scoprire, e quindi erano utilizzatori del fermo posta, ovvero andavano a ritirare le lettere all’ufficio postale, dove gioco forza anche i dipendenti allo sportello divengono figure famigliari con le quali si instaura confidenza o in altri casi dei quali poter anche temere. Nel caso migliore, quando c’era qualcosa di urgente, utilizzavano i telegrammi. E ancora, per segnalare che c’era qualcosa al fermo posta, De Roberto, che era uso inviare il giornale “Il Mattino” a casa dell’amata, inseriva nell’indirizzo per l’invio del quotidiano anche il nome di lei, oltre a quello del marito Ribera.
Quei 2 giorni per la consegna, che all’epoca stabilivano di certo un record appunto nella qualità del servizio, divenivano attese spasmodiche, capaci di generare ansia ora ad uno ora all’altro, immaginando che potessero esserci problemi di salute (o chissà quali possibili sventure immaginabili), rancori, fraintendimenti. Lo stesso De Roberto ribatte alla Valle che alcune sue risposte piccate nacquero di certo dall’impossibilità di potersi chiarire a voce, quando appunto si può ribattere velocemente, si può cogliere il non verbale, insomma si può velocemente provvedere a correggere il tiro. Come si dice Scripta manent, e aggiungo io l’interpretazione è sempre negli occhi di chi legge, per quanta buona volontà chi scrive può mettere nel cercare di essere chiaro e non fraintendibile.
Altro punto incredibile
Un altro punto incredibile è che De Roberto, la Valle e di certo molte delle persone citate utilizzavanono la lettera scritta come mezzo di comunicazione (sia personale che lavorativo) con tutti coloro che si trovano distanti ed erano tantissimi. Le persone in questione dedicavano quindi ore al giorno a scrivere e spedire e leggere, e dovevano essere attentissimi nell’intendere e farsi intendere. Oggi non lo riterremmo neanche pensabile, se non fosse che noi stessi nel 2017 viviamo continuamente consultando un piccolo schermo, nel quale siamo in perenne comunicazione con decine di interlocutori, ma in maniera decisamente più frammentaria e spesso confusa (leggi gruppi). A conclusione di questo pensiero, ritratto e non mi sembra in effetti tanto incredibile. La lettera quanto meno dava in potenza spazio a scrivere sempre dopo aver riflettutto, avendo anche una bella e una brutta magari, quindi in teoria con maggior consapevolezza (ma alla fine del libro ci si renderà conto che anche sulla carta non si risparmiavano nulla, se non forse i toni che cercavano di mantenersi “rispettosi”.)
La comunicazione
La comunicazione rimane uno strumento umano, e quindi intriso di tutta la soggettività del mittente e del destinatario, anche a distanza di 100 e più anni. Distanza che però io non ho percepito, nel leggere. I nostri sviscerano i loro sentimenti, i propri progetti (in particolare quelli di De Roberto inerenti la scrittura, votata al teatro e critica letteraria, allo scopo di avvicinarsi a Milano), l’evolvere delle stagioni nelle rispettive città, le relazioni coi famigliari e amici e conoscenti, le frequentazioni letterarie e di teatro, con un linguaggio che forse oggi potrebbe ritenersi eccessivo, ma che in realtà cercava di essere ricco e di cogliere sfumature, anche sottili.
Di certo nel libro esistono ancora tanti e tanti elementi che meritebbero di essere citati, ma non voglio tirarla troppo per le lunghe. Qui voglio fornire solo qualche spunto per invitarvi a leggerlo, trasmettervi il piacere che ho provato io pagina dopo pagina, il dispiacere di arrivare all’epilogo, perché forse i nostri avrebbero meritato una possibilità in più, qualche circonstanza avrebbe potuto metterli nelle condizioni di provarci a continuare la loro felicità.
Sappiate che di epistolari di De Roberto ne esistono altri, di cui ne cito un paio molto succulenti, ai quali avrò piacere di dedicarmi in futuro: quello con la madre Marianna Asmundo e quello con un’altra amata successiva, Pia Vigada (periodo 1909-1913).
Le foto di Ernesta Renata Valle e Federico De Roberto qui riportate sono state trovate in rete (e riprodotte anche nel libro), rispettivamente nei seguenti articoli di Pietro Rizzo e di Cameralook.
In ultimo, al seguente collegamento troverete un’intervista a Sarah Muscarà, molto interessante, quale ulteriore approfondimento.