Era l’ultimo giorno, ne abbiamo approfittato.
Ed è come un richiamo, tornare al museo Francesco Messina e vederlo trasformato ancora una volta, grazie alla fervida immaginazione di Pane e Mate.
Un viaggio nel sogno, tra migliaia di pagine scritte, che qui diventano pareti altissime, un albero suonato, un angolo dove dal silenzio far risuonare pietre e mani o ancora pennuti leggiadri in volo.
E dove c’è un sotto c’è un sopra e viceversa.
Fino all’incontro con i sogni di Francesco (Messina che in questo luogo ha vissuto) in forma di cavalli e Olmo, creazione di Gino, direttamente dalla legna di Fallavecchia.
E i bambini che si fanno rapire e nel loro incedere rumoroso, si soffermano brevemente, rispondono, vivono. Partecipano e sono richiamati alla calma, a lasciare che si pachi il respiro e le gambe, perché qui si può, se si vuole.
Penso che la bellezza dei luoghi stia anche nella loro capacità di essere trasformati, contaminati, divenire altro e nella diversità evocare ancora qualcosa di sé.
Un po’ come coi figli o con qualunque atto di creazione.