10 Agosto 2016, vuoto per pieno.
Sono in vacanza, in una frazione marinara di Acireale, un luogo di mare dove si gode tanta luce, caldo e tempo da impiegare, con ciò che si desidera, anche niente volendo, ma sarebbe stupido, tenendo conto che nel resto dell’anno il tempo in una quantità non superiore ai 30 minuti è una materia prima davvero scarsa.
Ho iniziato a leggere un romanzo che la mia compagna mi aveva proposto da tempo, si intitola A volte ritorno, di John Niven, casa editrice Einaudi. L’avevo rimandato varie volte, ma era lì, nella pila delle letture prossime, e all’ultimo minuto mi ero deciso a ficcarlo in valigia.
Mi sono preso l’impegno di terminare la sua lettura prima di tornare a Milano. Se non dovessi terminarlo, non succederebbe niente di che, ma sarebbe alquanto frustrante, e va bhe, potete darmi del pirla e chiedermi “come cavolo hai fatto con tutto il tempo che avevi a non terminarlo?”
Potrei trovare una risposta a questa domanda, insomma una scusa plausibile che potrebbe spiegarvi il quesito in modo convincente, ma mi impegnerò perché ciò non accada. Sono a pagina 123 di381, non dovrei avere difficoltà a centrare l’obiettivo.
E devo confessarvelo: l’incipit (diciamo questo primo terzo di libro) è uno spasso. Dio torna a casa dopo una vacanza di una settimana “celeste” (equivalente a 400 anni terreni) e si trova davanti tutto il casino del XX secolo, e dopo essersi fatto sfiorare dall’idea di azzerare tutto e ricominciare daccapo, capisce di non poterlo fare (e il motivo è che di bellezza in fondo anche il XX secolo è stato in grado di produrne) e rimanda sulla terra Gesù Cristo.
Si ride e si pensa, tra Dio, Gesù, i Santi, Satana e molti esseri umani che si arrabbattano per vivere meglio che si può, nonostante tutte le difficoltà.
Nei prossimi giorni, vi farò sapere cosa ne è stato di me e del libro.
12 Agosto 2016
Stanotte ho terminato di leggere il libro. Ho tirato un po’ tardi, circa l’1 di notte, mi capita di rado, ma sono in vacanza e avevo voglia di sapere come andava a finire. Come se la sarebbe cavata Gesù Cristo sulla terra, dopo che, incarnatosi in un diseredato che vive di espedienti e con la sola capacità di saper suonare la chitarra, partecipa ad un talent show per scoprire nuovi artisti emergenti. Le sue vicissitudini e quelle dei compagni di viaggio, anch’essi diseredati e ai margini della società, avranno dell’incredibile, e sarà impossibile non affezionarsi a loro.
E’ scontato concludere che la storia si ripete, ma in effetti è così. QUASI così.
Ad ogni battuta, si ride, ma nel contempo si è costretti a fermarsi un attimo e riflettere, sulle nostre esistenze, sul nostro essere umani, sulla complessità del mondo, sugli stereotipi che utilizziamo nel confronto con gli altri.
All’inizio ho citato il momento nel quale Dio pensa di distruggere la terra e gli esseri umani, per ricominciare tutto ex novo. Ebbene, quello è il momento nel quale il romanzo da una chiave di lettura che io ho trovato eccezionale: Dio decide che non ne vale la pena, perché l’essere umano è capace delle peggiori nefandezze, ma è anche in grado di raggiungere delle vette incredibili in tutti i campi, comprese le arti delle quali bearsi (in particolare Dio ama la musica, i film, la letteratura).
Ebbene, non vale la pena distruggere tutto con tutta la fatica che serve per ricominciare, se in un secolo buio (tra gli altri) come lo è stato il 20° secolo, la bellezza ha continuato a esprimersi e diffondersi. C’è ancora speranza, e serve appunto raddrizzare la rotta, tramite il messaggio di Dio, con Gesù Cristo responsabile, ancora una volta, di farsene portavoce in terra.
Alla fine dei conti, si capirà che la via per la felicità si basa su una buona dose di buon senso e rispetto.
Per chi volesse cercarselo a Milano, nelle biblioteche sparse in città, verifichi qui dove trovarlo e la disponibilità.