Qualche giorno prima di Natale stavo navigando in internet, quando per caso vedo un trafiletto su Phil Collins.
Si trattava della promozione di una autobiografia, dal titolo piuttosto provocatorio “No, non sono ancora morto”, scritta appunto da lui medesimo, pubblicata nel novembre 2016.
In sé, niente di sconcertante. Di auto/biografie ne escono continuamente (non ultima avevo scorto un volume su David Bowie) e seppur mi sia capitato di leggerne, avrei potuto anche in questo caso passare oltre. Ebbene, come avrete intuito, ho fatto una eccezione, anzi mi sono spinto a mettere il volume nella lista dei desideri per i regali di natale.
Il motivo è presto detto: Phil Collins ha costituito per molti anni un mio punto di riferimento personale, mi riconoscevo nella sua musica e lui mi dava l’impressione di essere una brava persona nella quale identificarsi. Un maestro o una guida, per quanto forse un simile appellativo mal si adatta a un musicista.
Non so quanto sia durata questa passione:ho il ricordo di una gita in Trentino dove il viaggio dalla Sicilia era stato accompagnato da un fido walkman e distintamente mi risuona ancora oggi In the air tonight. Ero al liceo, intorno ai 16 anni, doveva essere il 1986. Phil Collins rimase mio amico per anni, durate i quali recuperai i dischi mancanti, e non solo, scoprii che faceva parte anche di un gruppo, i Genesis, sicché iniziai a seguire anche la sua carriera come gruppo.
Di …but seriously ho coscienza perché con un amico cantavamo a squarciagola alcune sue canzoni che ci piacevano un sacco, ad esempio I wish it would rain down. Non posso negare che molte sue canzoni diventavano tormentoni associate a mie delusioni amorose. Con un altro amico, ci riavvicinammo dopo un lungo periodo di lontananza e condividemmo nell’amicizia un altro album altrettanto amato, stavolta dei Genesis, ovvero We can’t dance.
Insomma Phil Collins mi aveva stregato e la cosa continuò fino all’università, quando, ero ormai grandicello, decisi di andarlo a vedere dal vivo. Si trattava del tour legato all’album Both Sides, ho ancora il biglietto, era il 25 aprile 1994, al forum di Assago, a Milano. Doveva essere un segnale, una passione culminava nella città nella quale mi sarei trasferito anni dopo (città dove vivo tuttora con la mia famiglia).
Momenti vividi e nel contempo tanto confusi, nei ricordi che stranamente mi sembrano vicini nel tempo, ma a ben pensarci si tratta di più di 20 anni fa!
Dopo Phil Collins in qualche maniera cede il passo, una sorta di oblio, nel quale esce di scena lentamente dai miei ascolti e anche dai miei pensieri. Arriverà un momento nel quale i Genesis si sciolgono, dopo aver pubblicato un ultimo album nel quale Phil Collins aveva già lasciato il gruppo, il cantante era un altro, non comprai mai quell’ultimo album, così come non comprai mai due suoi album solisti, Testify e uno di cover del quale non ricordo il titolo.
Un amore terminato, finito. In apparenza. Dopo tutti questi anni, il titolo beffardo della autobiografia non lascia spazio a fraintendimenti: durante questo balzo temporale così lungo, dove la mia vita ha virato verso altra musica (galeotti furono i La Crus), al nostro è successo dell’altro, con cause ed effetti pesanti per far dire ad un uomo di non essere ancora morto, ma di certo doveva esserci mancato poco.
Il 25 dicembre comincio a leggere il libro, lo termino il 28 dicembre. Si legge velocemente, è scritto bene, e mi appassiona. Ritrovo quell’idolo, persona semplice, con la sua infanzia spensierata nella periferia londinese, che si impegna e ce la fa, e non smette mai di impegnarsi, di migliorarsi, mettersi alla prova. Ciò che scopro è invece la sua vulnerabilità come essere umano, si sposa 3 volte, avrà molti figli, fino al periodo nel quale cade nel baratro dell’alcolismo, e la cosa non finisce lì, perché anche il corpo gli riserva delle sorprese. Non fornirò dettagli su altro, sugli anni e le date nelle quali cominciano i periodi più bui o quelli di risalita. La cosa interessante è che ho lasciato Phil Collins in un momento nel quale io stesso vivevo di ideali e forse anche utopie e lo riscopro oggi, con me cresciuto e in alcuni casi più disilluso (ma nel complesso più sereno), e lui invecchiato e costretto a risolvere nodi che lo hanno condotto ad essere consapevole dei propri limiti, e delle rinunce alle quali non si può rimediare, solo guardare avanti, e scegliere ascoltando i propri sentimenti e limiti che mutano nel corso della vita.
Sono di parte nel dirvi che è stata una lettura importante e che in fondo aspettavo, eppure sono sicuro del fatto mio quando vi dico che il merito di questo libro è raccontare una storia dal punto di vista di Phil Collins, tanto diversa dall’immagine che lui ha dato di sé (o i media hanno dato di lui) come artista. C’è il riconoscimento della grandezza della musica e della fallibilità dell’uomo, dalla quale però quella musica nasce e cresce, quell’uomo che impara dai propri errori e cadute.
Anche gli elefanti invecchiano, ma invecchiando diventano più saggi…
grazie amico Eolo, mi ero dimenticato degli elefanti, buona vita