Venerdì 2 aprile 2021. Appuntamento dal dentista. È sempre rilassante tornare a casa con la capsula nuovamente a posto.
Prendo il metrò e mi siedo. Ad una delle fermate, salgono una coppia, un uomo e una donna. Il primo con un clarinetto, la seconda con un violino elettrico. Hanno un piccolo amplificatore che riproduce una base azionata con il telefono. Si impegnano su una canzone orecchiabile. In generale non apprezzo, perché il metrò è già sempre una situazione incasinata, ma ho sempre stima per chi si impegna e alla fine concedo una moneta.
Si spostano nel vagone e da lontano mi sorge il sospetto che sia tutta una finta. E da quel sospetto, basato sul nulla, mi indispettisco. Mi sento raggirato. Mi alzo e lì raggiungo, li osservo, mentre ancora devono riprendere a suonare.
Si tratta di secondi, tra poco è la mia fermata, lui riprende con la base, appoggia le labbra all’imboccatura e soffia. Sento il suono. Lei aggiusta qualcosa sullo strumento, e poi attacca a suonare.
L’ansia scema, io scendo e mi volto un attimo prima che le porte si chiudano. Lui, suonando, mi guarda negli occhi e mi sorride, io ricambio lo sguardo, che per il resto c’è la mascherina.
Foto di Alessandro Cavestro da Unsplash
Mi è capitato diverse volte; da soli, in coppia, entrano nel vagone e… scoppia la musica… È vero, la musica all’improvviso mi libera dai dal luogo in cui sono, respiro diversamente, divento leggera, gli occhi vedono diversamente, mi sposto in un altrove indefinibile… libero… appunto, una navicella in viaggio… e sono riconoscente di questo dono extra-ordinario.
Si, ci vuole la pazienza di ascoltare e in quel momento sospendere il giudizio…