Dopo l’individuo, come singolo essere vivente, ci sono i gruppi. Spesso sono uniti da legami familiari, ma i gruppi si formano soprattutto per altre spinte.
Ad esempio gruppi al lavoro, ma anche gruppi che si formano per interessi comuni, come il volontariato o passioni aggreganti, con degli obiettivi da realizzare.
Le dinamiche dei gruppi sono poi imprevedibili, perché le componenti individuali si scontrano, non sempre si trova la via di accordo o compromesso. E non si possono trascurare le simpatie o antipatie che nei gruppi nascono e si sviluppano, dando vita a sottogruppi e correnti.
Si potrebbe dire: da un gruppo, se non mi trovo bene, se è troppo per me, ne esco. Non è così semplice. Siamo animali sociali e l’accettazione nei gruppi è una forza potente che porta spesso ad accettare e a non lasciare subito situazioni che non ci fanno stare bene.
L’accettazione è anche alla base del perché mettiamo un ‘mi piace’ o un ‘segui’ sui social, o anche del perché aggiungere un commento ci stuzzica, dietro c’è una biochimica che agisce da millenni. Alla stessa base stanno le mode, e in maniera deviata il comportamento dei branchi, dove può accadere che il singolo insieme ad altri supera i propri valori pur di appartenere al gruppo.
Bisognerebbe spesso usare tatto e razionalità, non giudicare, mettere gli obiettivi in cima, ma non sempre si riesce. E oggi che i social permeano così tanto le nostre vite, anche il pensiero di abbandonare una chat di messaggistica ci genera un certo malessere. O no?
Rimane sempre una possibilità aperta: che si condivida un obiettivo è che ognuna lo anteponga alla propria strenua affermazione individuale. Si mettano assieme i pensieri, abolendo i confronti. Senza io rispetto a te. La mia proposta, la tua, la sua. La scelta più adatta. Una sintesi. Un passo avanti. Un percorso insieme, tutti insieme, uniti.
Cagliato il 28 febbraio 2021. Foto di Jens Thekkeveettil da Unsplah.
Ho letto di recente un antico detto penso indiano che trovo perfetto. Prima di giudicare devi passare tre lune nei mocassini dell’altro.
Questo aiuterebbe molto insieme all’imparare a giudicare l’azione, e non la persona.
Un’altra volta ho sentito un sacerdote dire che se ci sono problemi incomincia a pensare che quello sbagliato sei tu, non l’altro. È difficile, lo so.
Ciao Giovanna, grazie. Sono suggerimenti pratici in verità, utilissimi a fermare il pensiero così abituato a vivere di categorie e confronto continuo. Grazie!